Perchè perchè l’otto Marzo mi lasci sempre solo

Due giorni fa sono andata alla manifestazione per l’Otto Marzo alla porta di Brandeburgo. Non ci sono andata da sola, c’era una mia amica e, soprattutto, c’era il mio ragazzo. Dico soprattutto perché è su questo che mi voglio concentrare. Era il suo primo corteo dell’Otto Marzo ed era il mio secondo (perché negli anni precedenti ho sempre dovuto lavorare da buona schiava del capitalismo). Abbiamo fatto parte della protesta per circa due ore e poi ci siamo dispersi perché cominciava ad esserci troppa gente e c’è il Covid e insomma non mi pareva il caso.

Mentre stavo tornando a casa mi arriva un messaggio di un mio amico che mi dice che non è riuscito a partecipare perché non sapeva dove fossero ammessi gli uomini. Lasciatemi dire che si tratta di un amico intellettuale che legge saggi sul femminismo probabilmente più spesso di me e che, nonostante se ne esca altrettanto spesso con mainsplaining, è in buona fede. Di uomini che mi hanno voluto insegnare come essere femminista ne ho incontrati parecchi, tanti quanti quelli che mi spiegavano cose basilari tipo come mettere a bollire l’acqua per la pasta. Non sono estranea al problema e persino con il mio attuale partner la situazione non è andata liscissima sin dagli inizi, ma adesso la mia relazione è il posto più uguale che conosco. Non mi sono occupata di leggere dove fossero o non fossero ammessi gli uomini, non mi è proprio venuto in mente, ce l’ho portato. Il pensiero che i miei amici femministi possano essere esclusi da una manifestazione in cui credono mi lascia un tantino interdetta.

Comprendo un discorso di safe space, ma è così che lo si crea? Sì, ma solo a breve termine. Non dico che non mi possa piacere sul momento, solo donne e persone che si identificano col genere femminile che marciano sicure per la città. Ma il giochino maschi e femmine ha smesso di piacermi dopo le scuole elementari. Ora vorrei una squadra compatta. Credo che su questo mio modo di percepire il problema incida molto la mia prospettiva di persona bisessuale e vi spiego perché. Molto spesso il femminismo di differenza è correlato da una prospettiva monosessuale. I ruoli di vittima e carnefice sono strettamente correlati con l’eteronormativa. Se ci si pensa bene la misoginia è l’etichetta perfetta per l’uomo cis etero medio mentre la misandria è quella perfetta per la donna non attratta da questo modello di individuo – e infatti per secoli le femministe sono state descritte come odiatrici di uomini dedite ad orge saffiche. Il problema del solo paragonare i concetti è palese: mentre la misoginia è radicata nella società tanto da essere ormai diventata un joke con relativo backlash #notallmen, la misandria ha solo la seconda parte del fenomeno, ovvero è una reazione. Mentre la misoginia ha una storia di violenza che risale all’alba dei tempi, la misandria viene tirata fuori la maggior parte delle volte da un uomo che perde le staffe perché non gliela danno. Misandria e misoginia si trovano tuttavia anche fra le persone omosessuali e lesbiche e molto spesso è legata ad un disinteresse per il cosiddetto genere opposto, che quasi diventa disgusto. Ma se invece si percepisce un mondo dove le logiche di attrazione sessuale sono più o meno scisse dal genere e il sesso, ovvero cme in tutti gli orientamenti non monosessuali dello spettro bi e pan, che posto ha il disgusto? Dove si posiziona la dinamica di vittima e di carnefice? Nel sistema. Sembra di dire una bischerata, la scoperta dell’acqua calda, ma se abbiamo fenomeni come i Men’s Right Movement che acquistano sempre più potere, vuol dire che questa acqua non è stata scoperta abbastanza o non è abbastanza calda. Io credo che gli orientamenti non monosessuali, asessuali e i corpi transgender possano aiutare la causa femminista molto più di quanto non credano le femministe Terf. E se vi serve una voce più autorevole sappiate che anche Lea Melandri ha fatto post a riguardo su facebook, e lei non è di certo l’ultima femminista neoliberale che ha imparato la lotta dalle magliette di H&M. Non vuol dire che un mondo pieno di bisessual* sarebbe un mondo perfetto, quella è una favolina che ho smesso di raccontarmi. La bisessualità e la fluidità vengono paragonati al bambino perverso polimorfo di Freud e finiamo per credere che sia un ritorno alle origini, cosa che infantilizza il movimento.  Quello che sto dicendo è che dovremmo avere una società dove la voce queer è più presente. Se vieti al genere maschile di partecipare ad una manifestazione, come decidi? In tempo di meraviglioso femminismo intersezionale vuoi davvero includere persone non binarie automaticamente nel gruppo di quelli da proteggere?  Mi pare una semplificazione sterile. Non puoi neanche stare lì a dire chi ha avuto più privilegio di chi, stare sempre a fare i conti. L’unica cosa che puoi fare è includere tutt* nel vero senso di quell’asterisco. Gli incontri fra survivors devono essere safe spaces, non le manifestazioni femministe. Non sono una grande fan degli ambienti FLINT* (donne, lesbiche, intersex, non binary e trans) in generale ma le manifestazioni proprio non dovrebbero esserlo.

Ma che cosa c’entra il discorso misoginia con FLINT*? Vi avverto che mi piace anche a me mettere in crisi tutto quello in cui credo. Perché appunto vorrei smettere di credere ed essere molto più in grado di argomentare. I safe space con la misandria non c’entrano nulla, perché sono spazi difensivi, ma questo lo si può capire solo se vi si è dentro. Dal fuori è un gruppo che esclude solo i maschi bianchi cisgender, etero e non. Quello che a me sta a cuore del femminismo è la sua crescita, sia a livello di intersezionalità con altre discipline, sia a livello di inclusività. Da quando stentavo a definirmi femminista, perché credevo che fossero quelle che avevano lottato per il diritto al voto e basta, ad adesso, il femminismo ha fatto passi da gigante. Come ho già accennato nel mio articolo precedente, ci sono un sacco di frammentazioni nocive, ma ci stiamo facendo decisamente spazio. Questo spaventa il sistema patriarcale che reagisce con un vittimismo violento. Gli ultimi da includere saranno loro, i maschi etero cisgender che non sanno cosa voglia dire femminismo, e stavolta gli ultimi non saranno i primi, no. Saranno gli ultimi, ma ci servono.

Durante la manifestazione il mio ragazzo mi ha indicato un cartellone con disegnata una mano con delle punte di metallo fra le dita e la scritta “Stanca di tornare a casa così”. Non lo capiva. Non capiva che non era una mano di un mutante della Marvel ma semplicemente quella di una persona a cui hanno insegnato a tenere le chiavi come se fossero un’arma. Mi rendo conto sempre di più di cosa voglia dire essere una donna in questa società anche grazie a commenti del genere. Avere un rapporto emotivo forte e trasparente con quello che per secoli abbiamo chiamato “il sesso opposto” mi fa vedere le cose con ancora più chiarezza. Le cose più banali come la passeggiatina notturna col cane, fare dating senza paura, sono normalità che a me non sono mai state consentite. Mi rendo conto che lui rispetto a me riceve molti meno input sull’aspetto fisico e che ha molto meno spazio per le emozioni. Non che non le abbia, ma non ne ha un accesso illimitato versione premium come succede a me e questo perché non ne parla tanto e soprattutto non ne parla coi suoi amici. Il patriarcato ha relegato la sensibilità all’essere una caratteristica di genere femminile e gli uomini sensibili sono in una posizione terribile da questo punto di vista. Il mio femminismo vuole l’assoluta parità anche in questo campo, perché, ancora una volta la lezioncina da ricordare è: il femminismo combatte il patriarcato, non gli uomini.

In serata volevamo guardarci un documentario sul femminismo e ci siamo imbattuti in “The Red Pill”. Convinta che fosse un documentario serio sugli Incel e i MGTOW, lo trovavo perfetto come film di coppia per l’Otto Marzo; invece quello che abbiamo visto ci ha fatti inorridire. Il cosiddetto documentario mostra una cosiddetta femminista che mette in dubbio quello in cui crede non appena entra in contatto con la comunità dei Men’s Right Activists. Si fa manipolare a tal punto che il film si chiude con “Non mi definisco più femminista”. Il problema principale è che questa giovane fanciulla non era femminista neanche all’inizio del film ma aveva una visione del femminismo come lotta per i diritti delle donne e basta. Gli attivisti per i diritti degli uomini non sono tutti dei pazzi che vogliono prendere a pugni le mogli e stuprare nei vicoli, ti fa vedere che hanno Phd e scrivono libri che poi subiscono la censura del brutto e cattivo mainstream. Sono uomini (e donne, purtroppo) che lottano perché secondo loro la società è stata letta in luce sbagliata e gli uomini si ritrovano in posizioni di svantaggio adesso, rispetto alle donne. Il film si focalizza principalmente sulla mancanza di rifugio per uomini che subiscono violenza domestica e sulle posizioni di svantaggio del genere maschile nelle diatribe legali di affidamento dei figli post divorzio e dei diritti come padri naturali, sciorinando poi statistiche che più manipolate di così non si può. Come al solito l’onestà intellettuale in questi individui non esiste e nonostante i problemi di cui si lamentano siano creati da strutture patriarcali che identificano il ruolo di donna con il lavoro di cura, per loro è colpa del femminismo. L’intero movimento si può distruggere a livello argomentativo nel giro di tre secondi. Lottano anche loro contro il patriarcato, ma non se ne rendono conto: sono, purtroppo, dei femministi corrotti. Questi tre o quattro personaggi vengono banditi dalle università perché fondamentalmente non hanno una base logica solida in quello che dicono e scambiano costantemente il femminismo col capitalismo. Si tramutano in vittime, poveri uomini costretti a pagare le donne malefiche e mantenerle e creano intorno a loro un’aurea di insoddisfazione e rabbia che poi sfocia, volente o nolente, in fenomeni radicali come i sovracitati Incel (Involuntary Celibate, uomini che non riescono ad avere rapporti sessuali) o i MGTOW (Men who go their own way, uomini che si vogliono liberare dei loro ruoli di genere). Non tutti i MRA sono INCEL, ma ditemi voi se esiste un equivalente femminile degli Incel. No. Il femminismo radicale non inneggia a picchiare gli uomini, non ho mai letto niente del genere se non in Manifesti tipo “Il Manifesto Scum” di Valerie Solanas che, ovviamente, vengono presi assai con le pinze. Ho frequentato tantissimi gruppi di femminismi diversi e vi assicuro non mi è mai capitato un forum di reddit dove si incitasse le donne a fare una strage di uomini in un centro commerciale. Perché il femminismo non nasce dalla frustrazione più o meno sessuale ed emotiva, ma dalla mancanza di diritti umani di base. Ed è sacrosanto che mantenga il suo nome Femminismo perché è partito dal femminile, dalla lotta delle donne. Chi propone di avvicinare il femminismo agli uomini cambiandone il nome o istituendo la giornata internazionale dell’uomo, non ha capito il problema. Tuttavia, anche creare ambienti dove gli uomini vengono esclusi, non aiuta di certo la causa.

L’otto marzo vorrei vedere più uomini in piazza, a fare domande e mettersi in discussione. Anzi dovrebbe essere un buon compitino per casa: il prossimo anno porta con te almeno due uomini e spiega loro perché stiamo marciando. Lo so che ci sono attivisti femministi uomini, che ci sono milioni di persone meravigliose là fuori, ma non sono di certo il 90 per cento della popolazione. C’è invece un sempre maggior numero di uomini con gravi problemi relazionali, che non chiedono aiuto, che raggiungono livelli di depressione e frustrazione enormi e che vengono catturati nella rete degli estremisti misogini. Provate a digitare Incel o Mgtow e troverete dei blog allucinanti, gente che dice che ormai le donne in occidente sono corrotte e bisogna andare in oriente per farsi una famiglia, ventenni che si lamentano di come le donne non li degnino di uno sguardo perché pensano solo ai soldi, uomini che fanno statistiche di fantomatiche caratteristiche fisiche che le donne prediligerebbero. Sono giovani e sono lì perché è l’unico luogo di scambio emotivo che hanno trovato. Questa gente va avvicinata prima, servono reali programmi di sensibilizzazione. Servirebbe una base di femminismo scolastico e un senso di comunità diverso. Guardate il video di quel ragazzo canadese che dice di non avere successo con le donne e che la sua vendetta sarà ucciderle. Ho guardato il video una decina di volte e continuavo a percepire una grandissima ignoranza e sofferenza. Al di là che il ragazzo ha un viso incredibilmente attraente a dirla tutta e che probabilmente se non aveva ancora avuto rapporti sessuali era probabilmente perché era uno psicopatico violento. Al di là di quello, io ci ho visto un’altra vittima del patriarcato. La classica vittima che diventa carnefice. E non venitemi a dire che non avete mai avuto un amico “morto di figa” che ha aspettato che qualcuna si ubriacasse di brutto, uno che utilizza il termine “figa di legno” dopo due secondi che ha incontrato una ragazza, non ditemi che non vi è mai capitato. Non bisogna sempre aspettare il morto prima di agire. Questa gente va inclusa nei discorsi femministi prima che qualcuno la introduca al facile odio di genere.

La giornata internazionale della donna è una giornata di lotta femminista. Non basta bandire le mimose,che poi alla fine sono solo fiori gialli; è necessario fare concretamente attivismo, nel proprio piccolo. Rivoluzionare le relazioni, fare propaganda con le emozioni, vedere il nostro personale politico. Altrimenti si va avanti a rilento e con sempre più zoombombing.