Idahobit, Zan Zan e altre riscosse

In queste settimane per la giornata contro l’omolesbobitransfobia (17 Maggio) si sono susseguiti in Italia una serie di eventi bellissimi. Proprio belle le piazze piene di attivisti queer che sventolano la loro voglia di diritti. Commovente il corteo di persone bisessuali ed asessuali. La comunità bisessuale non ha mai raggiunto un livello tale di visibilità sul suolo italico. Mi veniva da piangere dalla gioia. Quest’anno poi l’Idahobit italiano era molto importante perchè si sta discutendo sul famigerato Ddl Zan.

Il Ddl Zan una volta approvato proteggerebbe molte soggettività spesso non solo dimiscriminate, ma escluse a priori dal dibattito politico e renderebbe l’ Idahobit una giornata di sensibilizzazione non solo autoreferenziale o di scambio fra le varie comunità queer, ma nazionale. L’IDAHOBIT raggiungerebbe tutti quegli ambienti dove le soggettività lgbtqia+ sono ancora considerate “minoranze”. Perchè diciamocelo, usare il termine minoranza non stona soltanto per le donne. Se veramente si parla in termini di minoranze numeriche, c’è un difetto di percezione. Siamo una marea, out o meno. E le persone bisessuali sono più restie a venir fuori, quindi io mi immagino un sommerso notevole. Ma si parla di minoranze culturali qui, eh già. L’Idahobit è quella giornata simbolica che ci ricorda come avere sempre una norma di soggettività sia un grande cagata. Tutto il dibattito sul Ddl Zan, le cui critiche demolirò a breve zan zan, in realtà è una continua violenza. Poi uno deve fare attenzione a come usa il termine violenza, ma io a leggere certi commenti mi ci sono rovinata le giornate e molte altre persone che conosco hanno subito lo stesso fato ogni volta che cercavano il confronto in gruppi di discussione fuori dal safe space queer. Perchè è un safe space quello che ti tocca avere, e finisce per essere autoreferenziale qualsiasi dannata cosa. Io amo il creare community, senza una community dietro come persona bisessuale non mi sarei potuta sentir tale. Ma quello con cui mi scontro di continuo è questo oscillare fra l’autoreferenzialità e la violenza. Non c’è una via di mezzo ed è deprimente. Il fatto che la comunità femminista stessa si spacchi in due quando si parla di soggetività queer è orribile. Non è neanche una gara di identity politics, come qualche esponente di sinistra italiana ( ma anche tedesca vedi skurrile Minderheiten) cerca continuamente di insinuare, bensì un percepire a livelli che si intersecano. Io la mia bifobia la percepisco ad esempio come un intersecarsi di omofobia e queerfobia. A questo si aggiunge una discriminazione in quanto donna, migrante, ad esempio, ed un privilegio in quanto bianca. Non è la gara al più oppresso ma una comprensione del testo senza ignorare il non detto, anzi concentrandosi su di esso e sbandierandolo. Per questo è così bello vedere una rivendicazione della visibilità, perchè questo decreto, a differenza di ciò che l’opposizione cerca di farci credere, è solo ed esclusivamente un’arma di difesa simbolica. Per questo “molto più di Zan”, perchè è il minimo sindacabile di una società civile, non perchè vogliamo la dittatura ghei. Ma vediamo punto per punto le meravigliose critiche che vengono sparate contro il decreto:

1) UTERO IN AFFITTO si dice in realtà gestazione per altri. Alla pratica ricorrono anche gli etero dove si può, non tutta la comunità lgbtqai+ è a favore e non c’è manco un accenno vago nella legge quidi parlarne è fare whataboutism come parlare delle adozioni e del fatto che nessuno pensa mai ai poveri bambini

2) IL GGIENDER è quella branca che in alcuni paesi illuminati si può studiare sotto “Studi di genere”, evoluzione e spesso partner inseparabile degli “Women Studies”. Il gender è lì dagli anni 90, ma noi andiamo indietro come i gamberi. Che tipo di discriminazione subisce uno che viene picchiato per essersi messo lo smalto alle unghie? Bingo, espressione di genere. C’è un sacco di discriminazione legata a stereotipi di genere che non hanno il minimo senso ( Cioè pensate che uomini e donne hanno chiusure delle camicie diverse, qualsiasi stereotipo di genere è basato sulla fuffa culturale). Non è un dibattito accessibile a tutti quello sull’identità di genere e mi pare di aver letto che comunque non è la prima volta che il concetto appare nella legislazione italiana quindi di cosa stiamo parlando veramente? Perchè si chiama ideologia solo se non è la tua?

3) I TRANS* sono corpi, realtà e non fuffe mistiche. Non si può decidere dell’autodeterminazione dei corpi altrui e non se ne può parlare come se fossero oggetti. Un minimino di rispetto. E no, una transizione completa non è easy come rompere le ovaie su fb. Ma anche solo a livello economico eh. Self id subito, identità di genere. E chi tira fuori definizioni di donna da essenzialismo biologico è una persona molto triste. Corpi che mestruano non si dice solo “per colpa dei trans”, c’è na caterva di gente con ovaio policistico o in menopausa o tricche e ballacche ma certe “femministe” sono così prese dal loro essere donne perfette che manco vedono le sorelle. Idem per corpi che si riproducono. La medicina ha un’ideologia binaria ma la biologia in realtà si rivela sempre più queer. Poi qui più che una spaccatura c’è una contraddizione, perchè anche il femminismo radicale si basa sulla distruzione di un determinato simbolico e sul fatto che la donna non venga considerata come utero o macchina biologica, ma come persona. Che problema avete con le gravidanze trans*?

4) “CI RUBANO GLI SPAZI” Ma chi ma dove. Se prendiamo ad esempio due articoli uno messicano uno americano di uomini che si sono finti donne senza guardare le statistiche di violenza dall’altra parte stiamo manipolando le informazioni e facendo fare lavoro psicologico per nulla ad altri. Digitare “violenza trans carcere” e vedere quel che viene, no fare cherry picking per giustificare la propria transfobia. No, Terf non è una parolaccia, è la definizione di un tipo di femminismo che io non definirei neache femminismo ma vabbé c’è anche una questione generazionale nel mezzo

5) “EH MA LO SPORT” non è regolato dal ddl zan mi pare. Quindi vedi punto 1

6) NON SI PUÓ DIRE PIÙ NULLA no, infatti, basta. Bastano due minuti per capire che è una legge che integra e completa altre leggi (Mancino) sulla discriminazione e non tocca di striscio la libertà di opinione (o propaganda del cappero tipo i pro life che lì sì sarebbe bello ma no siamo democratici). Se non si capisce la differenza fra discriminazione e libertà di opinione, si è in malafede. Come i Men Right’s Activist che hanno paura che le donne li denuncino per stupro perchè magari non c’era consenso ma loro non lo sapevano. Mhm.

7) NON BASTA infatti questo è vero ma vista la caterva di omofobi che stanno venendo su come funghi in queste settimane non direi sia il momento di fare gli schizzinosi. Ok dire che non basta ma non mi pare geniale opporsi per principio di assolutismo morale. Si sa dove porta quella roba e sono posti più brutti persino di quelli dove arrivi con le identity politics.

8) È PUNITIVA sì, è brutto ma oh non è mica l’unica legge punitiva. Se è per questo rimarrà anche un problema di differenza fra coloro che possono permettersi di denunciare e chi non è nella posizione di farlo.

9) “NOI POVERI ETERO” in realtà se un etero entra in un gay cafè e qualcuno lo picchia perché è etero, quella legge protegge anche a lui. Ma capite che è più probabile che un etero entri e faccia splash

10) GLI LGBTQIA no. Non siamo un partito politico. Siamo elettorə ma non un partito. Non c’è una linea unica di strategia. Ad esempio la legge dovrebbe tutelare anche le discriminazioni interne. Sì, tipo la B muta in LGBT. Le persone bisex subiscono discriminazioni anche dalla comunità queer, è uno dei livelli della bifobia e se credete che siano segate da privilegiati andatelo a dire ai bisessuali che si rivolgono alle associazioni gay di protezione internazionale e vengono rimbalzati come palline gommose.

Aggiungo che a livello eu facciamo ridere e la legge c’è giá a giro e che con le statistiche finalmente la comunità potrá fare politica coi dati e non sui “futili motivi” (unica motivazione attualmente esistente per descrivere un attacco omofobo). La legge poi tutela le disabilità che invece nel dibattito sono stranamente invisibili. Il fatto che una legge sulla discriminazione abbia sollevato un polverone tale e così distante dalla legge stessa ha solo due spiegazioni: o la gente è veramente disinformata o è stronza. Io voglio continuare a pensare che sia violenza derivata dalla disinformazione e voglio concentrarmi su quanto erano belle quelle maree di gente queer che rivendicava il proprio essere “minoranza”. Anche se abbiamo bandiere diverse, alla fine in piazza eravamo tutt ə assieme per la stessa rivoluzione culturale. .. E chi lo sa se tutto questo muoversi, questo fare rete di attivismo online, tutta questa pandemia che ci ha rubato gli spazi pubblici non rilasci un backlash paragonabile al 68, e che, magari, stavolta funzioni.

Io ci credo sempre di più in questa riscossa.

Littizzetto ed altri problemi del femminismo italiano

Qualche tempo fa la Littizzetto a Che tempo che fa se ne è uscita con la seguente analisi:

 “Noi donne dobbiamo farci furbe. Smetterla di sottolineare il nostro aspetto fisico. Questo si che sarebbe il vero passo avanti. Ignoriamoligli stronzi o le stronze che ci dicono male. Mi dici che sono racchia? Pazienza. Io ho altro a cui pensare. Impegniamo le nostre forze in questioni più furbe. Lottiamo perché le paghe femminili siano uguali a quelle maschili, battiamoci perché una donna non debba mai, essere in ansia se deve dire al suo capo che è incinta. Facciamo che tutte le donne possano fare mestieri che vogliono senza pensare se è un lavoro da uomo o da donna. Questo è importante. Non far cantare la patata.”

Al di là di farmi venire la bile rosa fucsia, la Littizzetto ha reso trasparente un modo di pensare al femminismo molto italiano, che secondo me è uno dei problemi più grossi del movimento nello stivale. A me anni fa la Littizzetto piaceva, col mio primo ragazzo a diciottanni guardavamo i suoi video e si rideva come dei matti, come si faceva con Willwoosh e altre cose più discutibili tipo Gemma del Sud. Mi piaceva anche Striscia la Notizia nonostante mi facessero incazzare le veline. Credo che la Littizzetto col tempo, mantenendo i leitmotiv del walter e della yolanda, abbia adattato ai tempi la sua comunicazione. E in realtà vedere che si parla di femminismo in tv in questa maniera esplicita mi riempie il cuore e sono contenta come una matta per le generazioni che verranno. Ma c’è un ma. Non si può giocare al femminismo con la regola di chi c’ha le ovaie più grosse. Non sarebbe quello lo scopo. Mi riferisco a quel “non far cantare la patata” che pare buttato lì solo per fare il clickbait, per infervorare gli animi e far scoppiare la polemica. Ma, un attimo, che vuol dire far cantare la patata? Luciana qui si riferisce alla pubblicità della Nuvenia che ha a quanto pare rovinato la cena a molte italiane perché mostrava vulve canterine e….. il sangue mestruale. Non sia mai. Perché un’autopsia sul corpo di una donna stuprata in un episodio NCIS va bene, ma le mestruazioni sono così raccapriccianti che ti va di traverso il ragù. Ed ecco che mi sale la bile mentre scrivo, scusate.

Uno dei principali problemi del femminismo italiano è quella sottospecie di rivalità fra gruppi diversi che è estremamente controproducente alla causa comune. Peggio che PCI contro Rifondazione e PAP, il femminismo riesce veramente a tirarsi la zappa sui piedi quotidianamente. Con questo discorso è come se la Littizzetto si ponesse su un piedistallo che definisce il femminismo giusto quello delle battaglie civili, e denigra chi si batte per il livello simbolico. Già, peccato che siano la stessa fottutissima cosa. Un conto è se una cosa la dico io, un conto è la Littizzetto o la Ferragni. Loro ci dovrebbero stare un po’ più attente. E infatti, tempo due secondi ecco che mi appaiono sulla home di Facebook “E queste si credono femministe?!!? Le vere femministe si rivolterebbero nella tomba”. Di questo fenomeno di ignorare il simbolico ne parla anche Oiza Q. Obasuyi nell’articolo sulla Blackface. In entrambi i casi, una pubblicità che vuole rompere un taboo e fa un’azione positiva e un rivisitare, svuotando solo secondo la prospettiva bianca, la blackface e fare un’azione negativa, l’opinione pubblica pare non essere in grado di percepire il livello della realtà alla quale ci si riferisce, come se il simbolico fosse qualcosa di infantile e innocuo. Questo modo di pensare è lo stesso che ripudia ( molto spesso) un linguaggio inclusivo e molte battaglie del nuovo transfemminismo intersezionalista.

Il secondo problema, che purtroppo deriva anche esso da una rivalità e dalla totale incapacità di provare empatia o la minima solidarietà femminile, è lo scontro generazionale. Sì, perché anche se ci sono anche delle giovanissime TERF (Trans exclusionary radical feminism) e SWERF (Sex workers exclusionarz radical feminism), nella maggior parte dei casi si tratta di persone di una certa età. Questo è perché c’è una parte del femminismo italiano che non ha letto nulla di pubblicato dopo gli anni ottanta e di decostruire il gender come costrutto sociale non ci pensa neanche minimamente e si irrita al primo termine inglese che salta fuori. E, lasciatemi aggiungere, va bene così. Non possiamo pretendere che tutti abbiano la possibilità di fare del femminismo un’attività full time. Allo stesso modo io non potrò mai leggermi tutti i testi fondanti del movimento, perché sono tantissimi e purtroppo devo fare altre cose molto più noiose per guadagnare dei soldi. Un certo tipo di informazione è un privilegio di classe, e già questo dovrebbe farci smettere di litigare e invece è una lotta fra “ok, boomer” e “lgbtqaivwwxyz ahahahah” (Spoiler: la battuta dell’alfabeto non fa ridere nessuno mai). Susanne Gay non ha paura a definirsi una bad feminist e questo è il mantra che dovremmo recitare tutte le mattine: non sarò mai una femminista perfetta, non c’è un femminismo perfetto.

Una cosa che è abbastanza controversa è il ruolo della comunità LGBTQIA+ , automaticamente inclusa nel Transfemminismo ma spesso esclusa almeno in parte dal femminismo di differenza vecchio stampo che pare ammetta solo le lesbiche come esseri superiori. Certo sarebbe bene imparare da chi è venuto prima e chi è appena arrivato, e creare una comunità di scambio ma c’è un problema grosso come una casa: le TERF che si autodefiniscono tali ( quindi non parlo di quelle bollate come tali per commenti un po’ sgraditi-pratica che ripudio) spesso negano le identità delle persone trans, rendendo impossibile creare un safe space per la discussione, privo di discriminazioni. Diventa un aut-aut sorellicida. E se pensate che questo sia solo una disputa a livello ontologico vi invito a vedere il casino che hanno scatenato CONTRO il DDL Zan con commenti tipo “Se volevamo una legge contro la misoginia ce la facevamo da sole”. Ah sì? Potrei stare qui ancora a lungo a fare i paragoni fra la guerra fra i poveri e la guerra fra discriminati, ma saltiamo al punto quattro.

Il femminismo italiano è di un perbenismo allucinante e non si accorge di essere un femminismo prevalentemente cattolico. Per quanto le SWERF non si appoggino sempre e per forza a posizioni cattoliche, rimangono scandalizzate quando si parla di porno o legalizzazione della prostituzione. E anche qui, purtroppo, salta di nuovo fuori l’aut-aut perché non puoi avere una discussione costruttiva se una chiama l’altra “puttana serva del potere”. Ci sono posizioni interessanti fra le SWERF, che si basano sui dati che evidenziano il fallimento della legalizzazione, ma questi dati non sono in grado di dirci se a priori la legalizzazione sarebbe sbagliata. Ma che senso ha ragionare a priori se siamo in un sistema patriarcale capitalista? Ha senso, o se non altro è una possibilità che non andrebbe esclusa con un semplice evergreen “puttana”. Le SWERF non interessanti sono invece quelle che sono così immerse nel loro disgusto per la sessualità femminile, il piacere fine a se stesso e il loro stesso corpo, da non accorgersi che non è tanto normale che il sangue mestruale sia sempre rappresentato come un liquidino blu nelle pubblicità degli assorbenti. E qui torniamo all’inizio dell’articolo: purtroppo sono tutte facce di una medaglia che è un dado che è cubo di rubik.

Un commento va fatto anche sull’islamofobia. I femminismi islamici vengono negati nella loro esistenza e il velo è un simbolo di oppressione. Questo commento deriva solo da ignoranza, di nuovo totale mancanza di empatia e, per semplificare, odio verso le altre religioni. Da persona agnostica razionalista femminista trovo che ogni tipo di femminismo religioso dovrebbe avere il diritto di essere ascoltato. Finchè non mina la mia libertà ma tutela scelte altre, che a me non interessano ma per altre sono importanti, è femminismo. Punto. Dovrebbe essere molto facile da capire ed invece. Il problema dei femminismi religiosi è quando vogliono diventare la regola, vedi Pro Life e cancellazione del diritto all’aborto a prescindere per tutte. Ma a quel punto secondo me non si meritano neanche più la definizione di femminismi in quando per me il femminismo è basato sulla libertà di scelta della donna, e non sull’imposizione di un modello, qualsiasi esso sia.

Per finire parliamo del femminismo neoliberale. Mi fa cacare anche a me, il Rainbow Capitalism e i suoi amichetti, ma se la pubblicità e gli influencer sono diventati potenti mezzi di comunicazione allora non bisogna fare le schizzinose ed essere, con una minima riserva critica, contente che certi messaggi arrivino anche dalle pubblicità e dai personaggi pop. Usare il femminismo per vendere è orribile ma la pubblicità della Nuvenia è allo stesso tempo una pubblicità progresso. E non vendono Pepsi, vendono prodotti mestruali. Ci hanno fatto un favore. Quindi dipende dai casi, non si può sempre criticare appellandosi ad un assolutismo moralista, è anche questo controproducente e io mi affido alle idee di Guy Debord sul Détournement e il reinterpretare e rovesciare gli strumenti del capitalismo dal dentro.

Detto questo mi rendo conto che l’articolo è un po’ pessimista. Il problema è che non so come sia possibile superare gli aut-aut senza cadere in paradossi della tolleranza. Quello che so per certo è che il femminismo andrebbe avanti molto più velocemente se ci fosse più dialogo fra le parti, ma quello non è solo un problema del femminismo. Dovrebbe essere chiaro a tutte che il femminismo si batte per l’uguaglianza e la distruzione del sistema patriarcale. Dovrebbero esserci chiare e migliori basi scolastiche. Una volta che avremo abbattuto una serie di taboo e il femminismo diverrà davvero masticabile per l’opinione pubblica e non solo una strategia marketing, quando persino la maggior parte  degli uomini non si vergognerà più a dire “io sono femminista” allora secondo me si aprirà il dialogo. Quando si potrà parlare di masturbazione femminile alla cena di Natale allora si sarà davvero mosso qualcosa. E la littizzetto non dirà più una cosa così in tv perché sarà a tutte chiaro che l’ansia delle donne incinte è simile anche a quella di chi nasconde l’assorbente mentre va in bagno in ufficio e non usa la coppetta quando lavora perché ha paura che qualcuno la veda lavarla nel lavandino. Sarà chiaro che la realtà dei femminismi è un cubo di rubrik ma che l’importante non è far combaciare perfettamente le facce bensì tirarlo dritto in testa al patriarcato.