Littizzetto ed altri problemi del femminismo italiano

Qualche tempo fa la Littizzetto a Che tempo che fa se ne è uscita con la seguente analisi:

 “Noi donne dobbiamo farci furbe. Smetterla di sottolineare il nostro aspetto fisico. Questo si che sarebbe il vero passo avanti. Ignoriamoligli stronzi o le stronze che ci dicono male. Mi dici che sono racchia? Pazienza. Io ho altro a cui pensare. Impegniamo le nostre forze in questioni più furbe. Lottiamo perché le paghe femminili siano uguali a quelle maschili, battiamoci perché una donna non debba mai, essere in ansia se deve dire al suo capo che è incinta. Facciamo che tutte le donne possano fare mestieri che vogliono senza pensare se è un lavoro da uomo o da donna. Questo è importante. Non far cantare la patata.”

Al di là di farmi venire la bile rosa fucsia, la Littizzetto ha reso trasparente un modo di pensare al femminismo molto italiano, che secondo me è uno dei problemi più grossi del movimento nello stivale. A me anni fa la Littizzetto piaceva, col mio primo ragazzo a diciottanni guardavamo i suoi video e si rideva come dei matti, come si faceva con Willwoosh e altre cose più discutibili tipo Gemma del Sud. Mi piaceva anche Striscia la Notizia nonostante mi facessero incazzare le veline. Credo che la Littizzetto col tempo, mantenendo i leitmotiv del walter e della yolanda, abbia adattato ai tempi la sua comunicazione. E in realtà vedere che si parla di femminismo in tv in questa maniera esplicita mi riempie il cuore e sono contenta come una matta per le generazioni che verranno. Ma c’è un ma. Non si può giocare al femminismo con la regola di chi c’ha le ovaie più grosse. Non sarebbe quello lo scopo. Mi riferisco a quel “non far cantare la patata” che pare buttato lì solo per fare il clickbait, per infervorare gli animi e far scoppiare la polemica. Ma, un attimo, che vuol dire far cantare la patata? Luciana qui si riferisce alla pubblicità della Nuvenia che ha a quanto pare rovinato la cena a molte italiane perché mostrava vulve canterine e….. il sangue mestruale. Non sia mai. Perché un’autopsia sul corpo di una donna stuprata in un episodio NCIS va bene, ma le mestruazioni sono così raccapriccianti che ti va di traverso il ragù. Ed ecco che mi sale la bile mentre scrivo, scusate.

Uno dei principali problemi del femminismo italiano è quella sottospecie di rivalità fra gruppi diversi che è estremamente controproducente alla causa comune. Peggio che PCI contro Rifondazione e PAP, il femminismo riesce veramente a tirarsi la zappa sui piedi quotidianamente. Con questo discorso è come se la Littizzetto si ponesse su un piedistallo che definisce il femminismo giusto quello delle battaglie civili, e denigra chi si batte per il livello simbolico. Già, peccato che siano la stessa fottutissima cosa. Un conto è se una cosa la dico io, un conto è la Littizzetto o la Ferragni. Loro ci dovrebbero stare un po’ più attente. E infatti, tempo due secondi ecco che mi appaiono sulla home di Facebook “E queste si credono femministe?!!? Le vere femministe si rivolterebbero nella tomba”. Di questo fenomeno di ignorare il simbolico ne parla anche Oiza Q. Obasuyi nell’articolo sulla Blackface. In entrambi i casi, una pubblicità che vuole rompere un taboo e fa un’azione positiva e un rivisitare, svuotando solo secondo la prospettiva bianca, la blackface e fare un’azione negativa, l’opinione pubblica pare non essere in grado di percepire il livello della realtà alla quale ci si riferisce, come se il simbolico fosse qualcosa di infantile e innocuo. Questo modo di pensare è lo stesso che ripudia ( molto spesso) un linguaggio inclusivo e molte battaglie del nuovo transfemminismo intersezionalista.

Il secondo problema, che purtroppo deriva anche esso da una rivalità e dalla totale incapacità di provare empatia o la minima solidarietà femminile, è lo scontro generazionale. Sì, perché anche se ci sono anche delle giovanissime TERF (Trans exclusionary radical feminism) e SWERF (Sex workers exclusionarz radical feminism), nella maggior parte dei casi si tratta di persone di una certa età. Questo è perché c’è una parte del femminismo italiano che non ha letto nulla di pubblicato dopo gli anni ottanta e di decostruire il gender come costrutto sociale non ci pensa neanche minimamente e si irrita al primo termine inglese che salta fuori. E, lasciatemi aggiungere, va bene così. Non possiamo pretendere che tutti abbiano la possibilità di fare del femminismo un’attività full time. Allo stesso modo io non potrò mai leggermi tutti i testi fondanti del movimento, perché sono tantissimi e purtroppo devo fare altre cose molto più noiose per guadagnare dei soldi. Un certo tipo di informazione è un privilegio di classe, e già questo dovrebbe farci smettere di litigare e invece è una lotta fra “ok, boomer” e “lgbtqaivwwxyz ahahahah” (Spoiler: la battuta dell’alfabeto non fa ridere nessuno mai). Susanne Gay non ha paura a definirsi una bad feminist e questo è il mantra che dovremmo recitare tutte le mattine: non sarò mai una femminista perfetta, non c’è un femminismo perfetto.

Una cosa che è abbastanza controversa è il ruolo della comunità LGBTQIA+ , automaticamente inclusa nel Transfemminismo ma spesso esclusa almeno in parte dal femminismo di differenza vecchio stampo che pare ammetta solo le lesbiche come esseri superiori. Certo sarebbe bene imparare da chi è venuto prima e chi è appena arrivato, e creare una comunità di scambio ma c’è un problema grosso come una casa: le TERF che si autodefiniscono tali ( quindi non parlo di quelle bollate come tali per commenti un po’ sgraditi-pratica che ripudio) spesso negano le identità delle persone trans, rendendo impossibile creare un safe space per la discussione, privo di discriminazioni. Diventa un aut-aut sorellicida. E se pensate che questo sia solo una disputa a livello ontologico vi invito a vedere il casino che hanno scatenato CONTRO il DDL Zan con commenti tipo “Se volevamo una legge contro la misoginia ce la facevamo da sole”. Ah sì? Potrei stare qui ancora a lungo a fare i paragoni fra la guerra fra i poveri e la guerra fra discriminati, ma saltiamo al punto quattro.

Il femminismo italiano è di un perbenismo allucinante e non si accorge di essere un femminismo prevalentemente cattolico. Per quanto le SWERF non si appoggino sempre e per forza a posizioni cattoliche, rimangono scandalizzate quando si parla di porno o legalizzazione della prostituzione. E anche qui, purtroppo, salta di nuovo fuori l’aut-aut perché non puoi avere una discussione costruttiva se una chiama l’altra “puttana serva del potere”. Ci sono posizioni interessanti fra le SWERF, che si basano sui dati che evidenziano il fallimento della legalizzazione, ma questi dati non sono in grado di dirci se a priori la legalizzazione sarebbe sbagliata. Ma che senso ha ragionare a priori se siamo in un sistema patriarcale capitalista? Ha senso, o se non altro è una possibilità che non andrebbe esclusa con un semplice evergreen “puttana”. Le SWERF non interessanti sono invece quelle che sono così immerse nel loro disgusto per la sessualità femminile, il piacere fine a se stesso e il loro stesso corpo, da non accorgersi che non è tanto normale che il sangue mestruale sia sempre rappresentato come un liquidino blu nelle pubblicità degli assorbenti. E qui torniamo all’inizio dell’articolo: purtroppo sono tutte facce di una medaglia che è un dado che è cubo di rubik.

Un commento va fatto anche sull’islamofobia. I femminismi islamici vengono negati nella loro esistenza e il velo è un simbolo di oppressione. Questo commento deriva solo da ignoranza, di nuovo totale mancanza di empatia e, per semplificare, odio verso le altre religioni. Da persona agnostica razionalista femminista trovo che ogni tipo di femminismo religioso dovrebbe avere il diritto di essere ascoltato. Finchè non mina la mia libertà ma tutela scelte altre, che a me non interessano ma per altre sono importanti, è femminismo. Punto. Dovrebbe essere molto facile da capire ed invece. Il problema dei femminismi religiosi è quando vogliono diventare la regola, vedi Pro Life e cancellazione del diritto all’aborto a prescindere per tutte. Ma a quel punto secondo me non si meritano neanche più la definizione di femminismi in quando per me il femminismo è basato sulla libertà di scelta della donna, e non sull’imposizione di un modello, qualsiasi esso sia.

Per finire parliamo del femminismo neoliberale. Mi fa cacare anche a me, il Rainbow Capitalism e i suoi amichetti, ma se la pubblicità e gli influencer sono diventati potenti mezzi di comunicazione allora non bisogna fare le schizzinose ed essere, con una minima riserva critica, contente che certi messaggi arrivino anche dalle pubblicità e dai personaggi pop. Usare il femminismo per vendere è orribile ma la pubblicità della Nuvenia è allo stesso tempo una pubblicità progresso. E non vendono Pepsi, vendono prodotti mestruali. Ci hanno fatto un favore. Quindi dipende dai casi, non si può sempre criticare appellandosi ad un assolutismo moralista, è anche questo controproducente e io mi affido alle idee di Guy Debord sul Détournement e il reinterpretare e rovesciare gli strumenti del capitalismo dal dentro.

Detto questo mi rendo conto che l’articolo è un po’ pessimista. Il problema è che non so come sia possibile superare gli aut-aut senza cadere in paradossi della tolleranza. Quello che so per certo è che il femminismo andrebbe avanti molto più velocemente se ci fosse più dialogo fra le parti, ma quello non è solo un problema del femminismo. Dovrebbe essere chiaro a tutte che il femminismo si batte per l’uguaglianza e la distruzione del sistema patriarcale. Dovrebbero esserci chiare e migliori basi scolastiche. Una volta che avremo abbattuto una serie di taboo e il femminismo diverrà davvero masticabile per l’opinione pubblica e non solo una strategia marketing, quando persino la maggior parte  degli uomini non si vergognerà più a dire “io sono femminista” allora secondo me si aprirà il dialogo. Quando si potrà parlare di masturbazione femminile alla cena di Natale allora si sarà davvero mosso qualcosa. E la littizzetto non dirà più una cosa così in tv perché sarà a tutte chiaro che l’ansia delle donne incinte è simile anche a quella di chi nasconde l’assorbente mentre va in bagno in ufficio e non usa la coppetta quando lavora perché ha paura che qualcuno la veda lavarla nel lavandino. Sarà chiaro che la realtà dei femminismi è un cubo di rubrik ma che l’importante non è far combaciare perfettamente le facce bensì tirarlo dritto in testa al patriarcato.