HORROR
Proprio quando sembra una mattina come le altre, c’è qualcosa che non va. La ragazza si alzò con una strana sensazione, come se dentro di lei qualcosa volesse uscire, emergere e vendicarsi. Le sue braccia tiravano verso l’alto e qualcuno dal fuori avrebbe potuto dire che stava ballando. Era un agosto grigio e afoso a Berlino. La testa le girava grave e non aveva completo controllo del suo corpo. Era intrappolata in una danza continua, monotona e ripetitiva. Cercò di raggiungere il salotto ed ebbe un déjà-vu. Ma non si era già svegliata ed era già andata nel salotto? Dove era la musica? Sentiva un pianoforte in lontananza, ma il suo ragazzo non era al piano. Sussurri muovevano le sue gambe. Cosa aveva ascoltato per l’ultima volta? Quella sensazione le stava comunicando che quella sarebbe davvero stata l’ultima volta, un’ultima infinita volta. Voleva prendere il cellulare, mettere i CCCP o qualsiasi cosa la potesse calmare. Voleva che qualcuno la salvasse. Il suo ragazzo era nell’altra stanza, stava stampando qualcosa sbuffando, mentre lei era in preda a questa macabra danza. Cercò di urlare ma scoprì di non poter produrre suoni. Era come guardare il suo corpo muoversi tirato da invisibili fili. Il cuore da burattino palpitava sempre di più, una sensazione di morte si stava impadronendo di lei, era troppo stanca per continuare ma il suo corpo non la finiva. Il ragazzo nel frattempo se ne era andato di fretta. Si sentì cadere e si ritrovò a terra con la faccia su un marsupio. “Si vive meglio senza i nazisti” riusciva a leggere, scritto in rosa. Era pieno di vecchi volantini e polvere. A terra, i suoi occhi si fecero brucenti. Non poteva essere tutto vero. Aveva riacquisito il controllo sulle mani, cercò di coprirsi gli occhi e una sensazione di nausea la investì. Tornò a sentire le gambe ma scoprì di non avere abbastanza energie per rialzarsi. Era tutta un tremito. Riaprì gli occhi e osservò i suoi palmi: erano coperti di sangue. L’orologio del salotto indicava ancora le sette e mezza, la lancetta dei secondi era irremovibile. Iniziò a strisciare a pugni chiusi verso la porta del corridoio ma si fermò non appena sentì qualcun altro strisciare sopra la sua testa. “Solo un disturbo paranoico, solo una proiezione, io sono al sicuro, io sono abbastanza, io sono forte e resistente”. La botola della soffitta si aprì di colpo. “Io sono al sicuro” si sarebbe continuata a ripetere la ragazza se non fosse stata investita da un rumore assordante di porte che sbattono. Ma le porte erano tutte chiuse. Tentò di alzarsi invano. “Solo una proiezione”. Il suono del carillon con la musica di Pinocchio, lo aveva ancora? I suoi pensieri si fecero un tremolo di violino. Di nuovo quella voglia di danzare. Si sentì rialzarsi di colpo. Le mani ancora piene di sangue avevano gocciolato per tutto il corridoio. Doveva vomitare. C’era qualcosa dentro di lei, dentro casa sua. Qualcuno stava di nuovo suonando il pianoforte. Un tonfo, e poi una mano di donna si fece largo dalla botola. “Forse sto solo scrivendo tutto”. Il panico la fece correre verso il salotto, voleva chiamare sua madre ma…. le sue caviglie vennero bloccate da qualcosa di viscido e appiccicoso. Addio.
Qualche ora dopo il cellulare squillò ripetutamente, la sua terapista era preoccupata perché non si era presentata all’appuntamento. Nello stesso istante il suo cadavere, completamente intatto, sorrideva beffardo di quel sorriso di cui si muore, da soli, in casa propria. Nessuna traccia di sangue o colluttazione e qualcuno avrebbe persino potuto dire che le mani della salma profumavano ancora di vaniglia e miele. L’unica cosa strana era un piccolo ragno che stava uscendo dalla narice destra.