No-cioè raga non potete capì. Questa si alza e si mette a ballare. Ma così, eh, mica per un motivo. Pare una roba di Tik Tok e invece è proprio di fuori. Che la gente a Berlino è strana beh ma così. No-cioè, si alza, balla e va in salotto come se niente fosse. No-cioè, non so se fa colazione ma no, cioè in pijama. Ma lo sapete che vuol dire ballare in pijama? Sfi-ga-ta.No-cioè il salotto è un casino che non vi potete neanche immaginare. Pieno di roba per terra. No-cioè pure i volantini che saran lì da non so quanto. Il tizio invece, no-cioè raga peggio. Sta lì ad incazzarsi con la stampante come se fosse una persona. No-cioè concio a bestia pure questo. Deve stampare delle robe, fa dei versi strani. E poi, no-cioè questo raga è tipo il top del top, è tipo la corona del Burger King, è la tipa che no-cioè inciampa. Fa un volo da Paperissima, una figura di merda colossale, no-cioè. Bassina e magrina ma un botto eh, no-cioè, non sapete quanto ci ho riso. Non avete idea. Su un marsupio, no-cioè un marsupio politico, una roba con su scritto “No-cioè i nazi no però”. Poraccia che poi magari si è fatta pure male non lo so. No-cioè e poi lui che fa? Sbatte la porta e esce. Mi pareva in pijama ma non lo so come si veste sta gente che si atteggia. Ho fatto qualche foto e l’ho postata su Snap anche se ormai non lo usa più nessuno. Madò che ridere. E lei sta lì e pare che no-cioè, davvero? Pare che le pigli male. Un lo so che cacchio c’entra ma le piglia male si vede. No-cioè e quindi va su Facebook che dai via Facebook è da vecchi. Sta lì e guarda che l’ha likata solo su madre. Che roba patetica no-cioè. E poi che ti fa? No-cioè si ferma e si mette a guardà la finestra. No, cioè è estate a Berlino e questa si deprime al pc. Apre dei file scritti lunghi e non tocca la tastiera, no-cioè raga questa ha ancora l’agenda! Dice sta a fà una challege. Controlla qualcosa e poi si mette veloce le scarpe e esce. No-cioè, io ste cose mica le voglio vedere. Mi pare di perdere il mio tempo con ste storielle depresse out. No-cioè che senso aveva? Spiegatemelo.
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SINCOPI
Lagazza si sveglia un po’ franata, con unana voglia di crareemuosi. Prende in mano il celllare, le cuffie e a tutto volme cocia ad atare i CCCP. Vole scarcare tutta qlla ergiaednza come una bacnteinestsi. Non stdio, non lavro, non gurdo la tv, non cmplto le parle. Mntre si cinta in questa attivtà solitanteestrana al suo ritale mattuno, mntre il sle di Agsto splnde dlla finstra del balcne, il suo razzo imprca cntro la stamte che nn sta fando il suo dvere. È smpre più spsso di frtta, e si riva a dover organzare gli sparti per la bnd all’ultmo minto. In qullo stesso minto la rgazza incimpa su un marspio e fa un bl tnfo nel saltto. Da qundo si sno trariti asseme la casa è pna di amreedicas. Da qundo in estte hanno parcipato ai bantti pr la sensilizzazione sul tma mgrazioniemediterrano, sono rimsti a trra tansimi vlantini e gadget. Il marspio è uno di qusti, è mlto carno, nro con una scritta rsa: “Si vve meglio senza i nazsti”. La sctta è in tedsco perché ci trovmo a Brlino. Nel mzzo di quste presazioniggrafiche un po’ intili, il razzo se ne è andto sbatndo la prta. La razza, dalla sa nova protiva, si chiede se l’incimpare su quell’ogtto aba un qulche signicato simblico. Crca lo Zitgist ma quello è cme le rezioni stali, mntre lo crchi non lo trovi, poi un grno dal nlla ti acrgi che ci sei, si al scuro, nel to essere contemraneo. Acnde il pc, dice smpre che non ha iltmpoperscrire mentre in raltà è che non ha la tsta. Si snte spsso sla, anche se non pssa molto tempo da sla, è una soltudinestrna, che fonde la mannza alla potica. Si arrbbia spsso e non sa se la gnte che le conglia di aprre un blg sia in buna fde o mno. Ma le pice scrvere, qunto a sa mdre pace likrla da lonno. Mmmamimnca, dirà di lì a pco alla psiloga che la sgue, snza comnque mi raggerla del tutto.
Meno mimose e più pantaloni unisex, ovvero perchè sono femminista
Quando ero piccola volevo chiamarmi Richard. Ci sono ancora amici dei miei genitori che scherzano su questa cosa, che per un lungo periodo della mia vita ho detto di chiamarmi Richard, o Elliot.
Parto da questo per spiegare perché, essendo femminista, credo che la battaglia contro gli stereotipi gender sia tremendamente importante.
Richard era il bambino di Pagemaster, con la grande avventura nel mondo dei libri e la casa sull’albero, Elliot era il bambino di ET con i sentimenti così puri da riuscire a voler bene ad un mostro marrone venuto dallo spazio con un vocabolario decisamente limitato, io ero una bambina arrabbiata. Non lo sapevo ancora perché, ma ero una bambina arrabbiata che non sapeva nulla del Bechdel test o del femminismo, ma ero una piccola Mafalda che si affacciava senza saperlo su una esistenza subdolamente sessista e per di più in generale sessualmente repressa. Non lo sapevo perché ma ci stavo male e stretta, sin dall’inizio, nel patriarcato.
Dopo che nessuno accettò il fatto che io volessi chiamarmi Richard e non Alice come quella svampita bionda col vestitino nel paese delle meraviglie, iniziai a fare una piccola rivoluzione negli abiti. Volevo essere come i maschi,che si vestivano con le stampe mimetiche. Uscii di casa una mattina d’estate con i miei pantaloncini militari in perfetto abbinamento con la cannottiera senza spalline e trovai mia nonna sulla porta che mi disse che non avrei mai trovato marito conciata così. Andai al mare molto triste, perché pensavo che quello volesse dire vivere una vita piena di solitudine, e non mi piaceva l’idea, io un marito lo volevo.
Ancora senza marito ma con già due fidanzati alle spalle, in prima elelentare mi comprai dei pantaloni unisex, dei bermuda azzurri con i fiori hawaiani come andavano quell’anno. Non facevo che ripetere alla gente la parola unisex, un po’ perché era una bella parola che suonava bene e un sacco misteriosa, un po’ perché per me era una grandissima conquista: non stavo indossando qualcosa per maschi ma qualcosa di unisex, lo potevo fare, potevo gustarmi quelle ampie tasche piene di figurine senza sensi di colpa.
Iniziai a camminare con le mani in tasca, alla ricerca di modelli, e mi prese in generale una fissa per l’azzurro. Volevo tutto azzurro e per il mio settimo compleanno avevo delle New Balance Azzurre, una salopette di velluto a coste azzurro, un dolcevita azzurro, i collant di lana azzurri e due codine legate rigorosamente da gommini azzurri. Questa sottospecie di puffo in cui mi ero trasformata, aveva esplicitamente detto alle sue amiche che non voleva assolutamente niente di rosa e nessuna bambola. Qualche sventurato mi regalò una Barbie e mi venne da piangere, rovinando la celeste atmosfera che volevo creare. La simbologia dei colori è molto importante e per anni sono stata la No Rosa , era molto importante per me, una sottospecie di scelta politica. Perché l’azzurro sì e il rosa no è facile da capire. Il mio gioco preferito a ricreazione era Maschi contro femmine perché volevo far vedere ai maschi che ero forte come loro.
La moda maschile dell’epoca nella piccola città di mare dove sono cresciuta veniva dalla cultura americana legata al surf. I brand che i più belli della scuola indossavano alle medie erano la Quicksilver, la O’neill e la Rip Curl. “Da grande voglio mettermi con un surfista” scrivevo sul diario, ma almeno avevo smesso di pensare al matrimonio. Senza secondi scopi iniziai a fare surf e mi piacque da matti. Mi divertivo un sacco, ed ero una che generalmente si nascondeva durante l’ora di educazione fisica. Mi piaceva così tanto cavalcare le onde che alla fine riuscii a convincere i miei genitori a comprarmi una tavola. Il bagnino mi fermò la prima volta dicendo che una bambina da sola in mare con la tavola non ci poteva andare, però vedevo i ragazzini poco più grandi di me fare esattamente la stessa cosa. Ok, non ero un colosso di bambina ma sentivo che anche questo aveva a che fare con qualcosa di ingiusto. Quando trovai un’altra ragazza che faceva surf mi sembrò di aver trovato la mia compagna di vita. Qualche tempo dopo apparve la Roxy ovvero la versione femminile della Quicksilver e, per quanto mi facesse arrabbiare che ci fosse quel cuore rosa coi brillantini su tutti i capi di abbigliamento, mi sembrò una conquista e mi comprai una felpa che divenne la mia felpa preferita nonstante mi stesse gigante.
Credo di aver iniziato a fare pace con la mia parte femminile grazie ai libri di Bianca Pitzorno. Le bambine nei suoi romanzi erano intelligenti, spiritose e disubbidivano spesso. Dopo aver conosciuto Hermione Granger decisi che c’era ancora un sacco di speranza per il genere umano. Iniziai a fare teatro e ad uscire con un ragazzo della compagnia, il surf se ne era andato lasciando il posto a quel pop punk anni novanta coi polsini a righe nere e rosse. Mi stava simpatico, sia lui che il punk, quando si avvicinò per baciarmi per poco non fugii schifata ma alla fine riucii a concentrarmi e farmi baciare a bocca chiusa. Quasi la stessa settimana una ragazza della mia compagnia nei camerini una sera mi chiese se mi sarebbe piaciuto baciarla, ed ebbi una sensazione strana simile al senso di colpa. “Sì, ma prima devo baciare Y per capire se mi piacciono gli uomini”. C’era una precisa gerarchia nella mia testa anche se non sapevo da dove arrivasse, chi ce l’avesse messa. Ruppi con Y ma si dilaniò anche la mia amicizia con questa ragazza. Più o meno la stessa identica situazione successe due volte, e non avevo ancora compiuto diciotto anni. Quando arrivai finalmente ad avere il mio ragazzo ufficiale, a cui volevo davvero bene e dal quale ero veramente attratta fisicamente, avevo una visione molto contorta di cosa sarebbe successo nudi in camera da letto. Quello che sapevo è che lui doveva entrare e venire, e mi sarebbe piaciuto. Il problema fu che io avevo iniziato ad avere orgasmi masturbandomi all’età di sette anni, età in cui mi iniziarono a crescere i peli sotto le ascelle e in cui iniziarono a prendermi in giro perché nessuna bambina li aveva. Avevo sette anni quando credetti di essere magica come le Witch dove aver avuto il primo orgasmo in camera mia mentre giochicchiavo con le mie mutande. La mia prima volta fu decisamente il contrario, niente di più lontano da un orgasmo. Chiesi in giro, stupefatta che questa grande cosa che doveva essere il sesso si fosse rivelata una delusione tremenda. Mi rispose una mia amica, con una versione poco evoluta di Cioè alla mano, che era molto difficile che una donna avesse un orgasmo.( Se continuate a pensare che questo non sia un fatto di sessismo, avete tuttora una vita sessuale molto infelice e mi dispiace)
Potrei continuare a fare un elenco biografico pseudo ironico, ma probabilmente vi annoierei. Sono femminista sin da piccola, perché ho sempre considerato tutti uguali e il sessismo mi ha reso la vita enormemente difficile. Quando la gente al tavolino tira fuori la simpatica domanda sul perché sono femminista non so come fare a rispondere. Questa è la risposta: ho sempre voluto essere un maschio. Ma non perché avessi un rifiuto del mio corpo che andasse al di là del normale disgusto adolescenziale, ma perché ho sempre percepito il modo diviso in due parti, una rosa e una azzurra, e quella azzurra aveva le cose più fighe. Sono sicura che nel frattempo ci fosse qualcuno che doveva essere blu per forza, ma a cui piacevano i vestitini rosa.
Quando ero piccola mio padre voleva prendessi lezioni di piano, ma il problema è che all’epoca a suonare il piano ci andavano tutte quelle bambine con le Barbie e il vestitino di San gallo coi sandali coi brillantini, e io associavo il pianoforte alle loro faccine angeliche. Accidenti a me iniziai troppo tardi, quando ebbi abbastanza sale in zucca da capire che non andavo contro la mia politica suonando quello strumento pieno di tasti bianchi e neri, quelle bambine suonavano già Chopin.
Sono femminista perché non voglio che le nuove generazioni crescano con questa opposizione in testa, voglio che si possano esprimere come meglio riescono, ed abbiano un’ entrata in questa esistenza il più libera possibile da preconcetti che andranno ad influenzare la loro vita da adulti in maniera irreversibile. Sono femminista perché c’è ancora il disgusto per il corpo della donna, oltre al salario differenziato. Sono femminista perché non voglio che le nuove generazioni pensino sino ai 15 anni di età che esiste solo il sesso orale maschile, come è successo a me fino a che non ho visto una scena in un film sull’età vittoriana della BBC. Sono femminista perché non capisco perché il sangue mestruale sia quasi un tabù mentre lo sperma no, anzi. Sono femminista perché voglio che le cose cambino e per farlo servono sia le leggi e le campagne politiche sia una serie di prodotti culturali nuovi, coscienti, che educhino all’uguaglianza.
La giornata della donna non è proprio una festa. Per me, è il giorno della lotta per i pantaloni unisex. Meno minose, più pantaloni unisex.
#queneauchallenge #esercizidistile #horror #34
HORROR
Proprio quando sembra una mattina come le altre, c’è qualcosa che non va. La ragazza si alzò con una strana sensazione, come se dentro di lei qualcosa volesse uscire, emergere e vendicarsi. Le sue braccia tiravano verso l’alto e qualcuno dal fuori avrebbe potuto dire che stava ballando. Era un agosto grigio e afoso a Berlino. La testa le girava grave e non aveva completo controllo del suo corpo. Era intrappolata in una danza continua, monotona e ripetitiva. Cercò di raggiungere il salotto ed ebbe un déjà-vu. Ma non si era già svegliata ed era già andata nel salotto? Dove era la musica? Sentiva un pianoforte in lontananza, ma il suo ragazzo non era al piano. Sussurri muovevano le sue gambe. Cosa aveva ascoltato per l’ultima volta? Quella sensazione le stava comunicando che quella sarebbe davvero stata l’ultima volta, un’ultima infinita volta. Voleva prendere il cellulare, mettere i CCCP o qualsiasi cosa la potesse calmare. Voleva che qualcuno la salvasse. Il suo ragazzo era nell’altra stanza, stava stampando qualcosa sbuffando, mentre lei era in preda a questa macabra danza. Cercò di urlare ma scoprì di non poter produrre suoni. Era come guardare il suo corpo muoversi tirato da invisibili fili. Il cuore da burattino palpitava sempre di più, una sensazione di morte si stava impadronendo di lei, era troppo stanca per continuare ma il suo corpo non la finiva. Il ragazzo nel frattempo se ne era andato di fretta. Si sentì cadere e si ritrovò a terra con la faccia su un marsupio. “Si vive meglio senza i nazisti” riusciva a leggere, scritto in rosa. Era pieno di vecchi volantini e polvere. A terra, i suoi occhi si fecero brucenti. Non poteva essere tutto vero. Aveva riacquisito il controllo sulle mani, cercò di coprirsi gli occhi e una sensazione di nausea la investì. Tornò a sentire le gambe ma scoprì di non avere abbastanza energie per rialzarsi. Era tutta un tremito. Riaprì gli occhi e osservò i suoi palmi: erano coperti di sangue. L’orologio del salotto indicava ancora le sette e mezza, la lancetta dei secondi era irremovibile. Iniziò a strisciare a pugni chiusi verso la porta del corridoio ma si fermò non appena sentì qualcun altro strisciare sopra la sua testa. “Solo un disturbo paranoico, solo una proiezione, io sono al sicuro, io sono abbastanza, io sono forte e resistente”. La botola della soffitta si aprì di colpo. “Io sono al sicuro” si sarebbe continuata a ripetere la ragazza se non fosse stata investita da un rumore assordante di porte che sbattono. Ma le porte erano tutte chiuse. Tentò di alzarsi invano. “Solo una proiezione”. Il suono del carillon con la musica di Pinocchio, lo aveva ancora? I suoi pensieri si fecero un tremolo di violino. Di nuovo quella voglia di danzare. Si sentì rialzarsi di colpo. Le mani ancora piene di sangue avevano gocciolato per tutto il corridoio. Doveva vomitare. C’era qualcosa dentro di lei, dentro casa sua. Qualcuno stava di nuovo suonando il pianoforte. Un tonfo, e poi una mano di donna si fece largo dalla botola. “Forse sto solo scrivendo tutto”. Il panico la fece correre verso il salotto, voleva chiamare sua madre ma…. le sue caviglie vennero bloccate da qualcosa di viscido e appiccicoso. Addio.
Qualche ora dopo il cellulare squillò ripetutamente, la sua terapista era preoccupata perché non si era presentata all’appuntamento. Nello stesso istante il suo cadavere, completamente intatto, sorrideva beffardo di quel sorriso di cui si muore, da soli, in casa propria. Nessuna traccia di sangue o colluttazione e qualcuno avrebbe persino potuto dire che le mani della salma profumavano ancora di vaniglia e miele. L’unica cosa strana era un piccolo ragno che stava uscendo dalla narice destra.
#queneauchallenge #esercizidistile #insistenza #29
INSISTENZA
Una mattina di Agosto a Berlino una ragazza immigrata si sveglia nel suo letto illuminato dalle prime luci di un’estate della capitale tedesca. In quella che per alcuni è la capitale europea, un’immigrata si sveglia felice, presa da un volteggiamento quasi barocco. Questa giovane che ha lasciato il suo paese non lascia il tempo che trova bensì inizia a danzare per la casa, capitando nel salotto, dalla cui finestra si percepisce che è proprio una bella giornata estiva nella città senza più muro. Un sinonimo di quell’individuo che balla senza tregua nel salotto illuminato dalle prime luci della capitale tedesca, inciampa su un marsupio. Il marsupio fa parte dell’habitat del salotto illuminato, assieme a moltitudini di volantini contro il Decreto Sicurezza e Simili. Lei, la ragazza emigrata, ci inciampa. “La vita è meglio senza i Nazisti, la vita” è scritto su quel marsupio dove è inciampata la ragazza che si è svegliata in una mattinata di Agosto caldo e berlinese. Mentre danzava sulle barocche giravolte dei CCCP, quella fanciulla è inciampata e ha sentito una botta di Zeitgeist che ha sfiaccato il suo felicitarsi dell’esistenza mattutina di un Agosto berlinese. Proprio nello stesso Agosto, nella stessa casa, nello stesso momento, un immigrato si arrabbia con una stampante e di fretta se ne esce da una casa berlinese illuminata da un Agosto d’inciampo. Di quel ragazzo italiano che si è trasferito all’estero per fare musica, la ragazza che si è trasferita all’estero per fare teatro, sente la mancanza. Quella mancanza a Berlino, capitale europea, illuminata dal sole delle prime luci di un agosto d’inciampo, ha poco senso. La ragazza immigrata che si era svegliata nel suo letto e che non lascia il tempo che trova, sente forse quella paura d’inciampo dovuta all’insistere, davanti a finestre illuminate, un voler scrivere, un voler diventare, un voler essere, un blog. La madre della ragazza che non lascia il tempo che trova è spesso nei suoi pensieri e nelle sue mancanze e nelle sue notifiche di apprezzamento di facebook ai post lunghi che non legge nessuno. Nessuno legge i post lunghi di quella ragazza che si sveglia danzando in un agosto di capitale europea d’inciampo e lei finisce per dover fare una terapia illuminata dalle prime luci di una rivolta politica che parte dal letto e finisce in un marsupio, una terapia che disdegna le stampanti, una terapia d’urto in un salotto di Berlino, una terapia di stereotipi ed eccezioni, di pregiudizi ed insistenti metafore contemporanee. “La vita è più bella senza i nazisti, più bella”.
#queneauchallenge #esercizidistile #letteraufficiale #25
LETTERA UFFICIALE
Ho l’onore di informare la Signoria Vostra dei fatti sotto esposti di cui ho potuto essere testimone tanto parziale quanto soggettivo. In quella giornata, mi trovavo in camera mia a svegliarmi come di consueto con alcuni dolori di schiena nella capitale tedesca dove sono residente ma non ancora cittadina. Ho sollevato il mio corpo con fatica e mi sono ritrovata di umore felice, tendente al folle. Per scaricare in maniera costruttiva e del tutto innocua per coloro che mi stanno vicini questo impulso, ho iniziato a ballare alle 9.30 del mattino in salotto una vecchia canzone dei CCCP. Ci tengo a rendere chiaro alla S.V che trattasi di un gruppo degli anni 80 italiano formatasi a Berlino e non di un qualche coro di partito. Dopo suddetta attività sono caduta a terra, a causare l’accaduto sono stati alcuni volantini di non dubbia provenienza che giacevano sulla moquette della mia abitazione da qualche settimana. Ad aggiungersi ad i volantini, si trovava a terra in quel momento anche un marsupio nero con scritto di colore rosa che la vita è migliore senza i nazisti. Credo, in conclusione, di poter confermare un caso di Selberschuld in cui la mia soggettività avrebbe dovuto pulire in terra e mettere in ordine. Il mio compagno, di qui in avanti “Luca”, si trovava in quel momento a litigare pesantemente (nel senso con un oggetto pesante) con la nostra stampante, questo conferma e accerta che trattasi non di un caso di violenza di genere ma piuttosto di tentativo di luddismo. Luca ha lasciato l’abitazione di fretta verso le 9.45 poco dopo che io mi ero rialzata ed avevo iniziato a scrivere. In realtà devo confessare che stavo solo pensando a cosa scrivere, mentre spulciavo la bacheca di facebook e riflettevo sulla provenienza dei mi piace, che arrivano prevalentemente dal mio Genitore 1. La prego di esaminare nuovamente i fatti accaduti e il mio breve esposto prima di saltare a conclusioni affrettate o a simbolismi politici dettati da un feticismo ideologico. Se desidera maggiori informazioni può naturalmente consultare la mia terapista, che quel giorno è stata la seconda ma non l’ultima persona a vedermi, e io mi rendo naturalmente disponibile alla S.V per ulteriori chiarimenti. Nell’attesa di un cortese riscontro assicuro alla S.V i sensi della mia profonda considerazione e mi dico con osservanza pronta ad assumere l’atteggiamento che la S.V riterrà più opportuno per la mia condotta…ecc.ecc.
#quenauchallenge #esercizidistile #omoteleuti #24
OMOTELEUTI
Una grigia mattinata, lei si sveglia impigiamata, forse un poco sollevata e se la balla spensierata. Un’estate soleggiata, se la scorda e di volata. La moquette impiastricciata, con volantini ricamata, le fa fare un’inciampata e rimane abbandonata. “Vivere coi nazisti, quella è proprio una cazzata” No, non è arrabbiata, ma di volantini un po’ malata, e poi ha preso una frescata. In una coppia, innamorata, vede lui -ma è una folata- che va via di buona andata. E la lascia amareggiata, la sua danzante amata. Se il pensare è un’ inculata, lo scrivere è una mazzata. Ecco che una spolverata, verrebbe anche apprezzata. La stampante relegata, da lui usata, bisfrattata. La ragazza è di ambasciata, la sua danza è soffocata, sta scrivendo affascinata di sua madre che, educata, sull’internet l’ha già apprezzata- e non perché è un’alcolizzata. Non si fosse allontanata, non sarebbe sì ambientata.
Al mattin la giovincella, che si alza bella bella, vede l’uomo che non fa più la penichella, ma alla stampante si ribella. Lei si alza, vestita da ancella, e va in cucina a mangiar la nutella. Ascolta la musica e le vien la ridarella. Un capitombolo però la cancella. Il giovanotto di sentinella- ovvero la sua anima gemella- alla stampante dà una spintarella e poi fugge alla chetichella, rombando di porta con la manovella. Dei volantini la cittadella, il salotto non si ribella. Quella ragazza vorrebbe scrivere una storiella, del marsupio per terra e della sua novella: “Senza nazi, la vita è mozzarella”. Il suo umore però urge barella, anche se la madre la crede una stella.
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ANIMISMO
Quella mattina i pochi raggi di sole di un Agosto berlinese lo svegliarono dolcemente. Era per terra sdraiato da qualche giorno, lui-il marsupio. Circondato da volantini politici con cui condivideva l’origine, si distingueva per il suo brillante color rosa su sfondo nero. Era molto di moda e lo sapeva, di essere più cool di ogni altro oggetto nella stanza. Peccato che non potesse quasi mai essere sfoggiato: date le sue piccole dimensioni, la sua padrona preferiva di gran lunga lo zaino marrone. All’improvviso nella quiete mattutina tutto iniziò a tremare. Il pavimento scricchiola ma non è un terremoto, è quella cretina in camicia da notte che si è messa a ballare. Il marsupio voleva tanto avere un voce e se l’avesse avuta avrebbe urlato “No, stupida idiota, guarda che cosa c’è sotto i tuoi piedi! Stai attenta, mi vedi? Perché non mi hai messo nell’armadio? Oppure portami fuori una benedetta volta, solo io, tu, il cellulare, qualche moneta e un libro di quelli piccoli. Non sarebbe bellissimo? Puoi naturalmente anche portare le cuffie ma ehi! Cosa fa….nooooooooooooooooooooooooooo. Il povero marsupio, tutto ammaccato, adesso si sentiva persino in colpa di averla fatta cadere, la cretina. Gli esseri umani non si scusano mai con gli oggetti, e sbagliano perché prima o poi questi si vendicano con un’ agency imprevista. Il marsupio non sa se in realtà è lui ad essersi fatto lasciare lì per farla inciampare oppure è stata la cretina ad abbandonarlo e poi ad inciamparci. La relazione Ragazza- Marsupio è sempre stata complicata, sin dall’alba dei tempi. C’è un altro umano che borbotta ma il suo raggio d’azione è molto lontano dal marsupio, e solitamente lui inciampa sul contrabbasso. Il marsupio sente dolore ovunque ma la ragazza continua a ballare. I due si salutano, gli u-mani, mentre lui- il marsupio- rimane lì, senza neanche una medaglia al valore per quella guerra quotidiana in solitudine. Vorrebbe coinvolgere qualche foglietto contro il populismo, o i batuffoli di polvere- sempre pronti a sfoderare l’attacco allergico, loro- ma sente che le forze lo stanno abbandonando e dovrebbe riposarsi. La cretina si è messa al pc, dice sempre che non ha tempo per scrivere ma poi in realtà ci sta delle ore, quindi il pericolo dovrebbe essere scampato, si può nuovamente stare tranquilli. E poi se il Marsupio si ricorda giusto, a breve dovrebbe andarsene per la sua seduta settimanale. “Animo, animo! Dovrei ma andarci io, dallo strizzacervelli!” vorrebbe dire il Marsupio ma non può perché non solo non ha voce ma nemmeno un cervello. Però, purtroppo per lui, pur nella sua marginale marsupialità, continua ad esistere.
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NEGATIVITà
Non era sera nè pomeriggio: era mattino. Non presto, ma neanche troppo tardi per la capitale. No, non era a Londra e neanche a Parigi, bensì proprio a Berlino. Non erano due ma solo uno dei soggetti a ballare, di certo non a cantare. L’altro non ballava né cantava, ma si innervosiva. “Non trovo gli spartiti” diceva senza gridare. Il soggetto che non cantava ma ballava, oltretutto cadeva. Ma cosa non stava ascoltando? Non erano gli MGMT e neppure i M83, ascoltava i CCCP! “Oh, no! Che rabbia!”. Era inciampata non su un lego, non su una buccia di banana ma proprio su un marsupio dove non c’era scritto “Stasera faccio la brava” e neanche “You can’t do it” ma “Si vive meglio senza i nazisti” e non in inglese e neppure in italiano: in tedesco. Ad un certo punto ma non all’improvviso, è la porta e non la finestra a sbattere. Non la donna ma l’uomo se ne è andato, dopo aver preso a calci la stampante nonché la sedia. La donna, e non l’uomo, rimane a pensare ed ha una serie di pensieri non positivi. “Non dovrei perdere tempo così, non dovrei poi lamentarmi”. Non sono avvenimenti specifici, ma il nulla a farla incazzare. Neanche i mi piace di sua madre e i commenti della psicologa sembrano mitigare il negazionismo del quotidiano. “Non dovrei non fare sport e non aprire un blog”
#queneauchallenge #esercizidistile #parolecomposte #18
PAROLE COMPOSTE
In un berlingrigio primomattino un danzabarcollante essereononessere quietascoltava i CCCP in uno studiosalotto. Noncheneltempo si ruzzolosbellicò sopra un marsupial-politico oggetto nerorosa. Patapumpeteahahah. Esplosorrisi di zeitgeisticazzesca memoria. A guardarlo con frettapprensione un altro essereononessere di maggioralta dimensionstazza. Stava cercandurlando di frettastampare alcuni spartitristi. Poidiche si sente sbattervolare la ciaoporta e solo un essereononessere a starrimanere. L’E.O.N.E rimugindeprimendo le mancascrezioni del pensarscrivere, si immagischiaccia dei raccontastrazi per la psicologorroica memorta dove solasolitamente va. Maperò mammamorbidamente sente sollevapprezzamenti.