ARCOBALENO
Una mattina giallo spento, entro nel salotto arancione e comincio a ballare canzoni verde acido in maniera molto gaia, giallo scuro. Dentro mi sento rosa, viola e blu. Mentre danzo sui CCCP inciampo su un marsupio nero e rosa con scritto “Si vive meglio senza i nazisti”. Per terra ci sono un sacco di volantini rossi e il mio fidanzato ocra sta stampando un sacco di fogli bianchi in un ritardo che tende al grigio. Non appena se ne va io rimango in una solitudine nera e penso all’arcobaleno di scrivere un blog, o riuscire a fare sport senza quella paura marrone. Qualche ora dopo la mia psicologa blu ascolta i miei pensieri riguardo il troppo poco tempo che si concede al cromatismo, nello scrivere come nel definire la sessualità. È inutile che si stampino le maglie con scritto “Women Power” di fucsia, se poi sono fatte in india in una fabbrica sabbia di soli individui femminili terra sottopagati. Certi arcobaleni sono come i mi piace tattici. E no, non parlo di quelli di mia madre, i suoi sono molto più azzurri e lei non deve vendermi nulla perché il voler bene è solitamente gratuito con spese di spedizione incluse. No, non la voglio la maglietta del Pride se non è di un’azienda che finanzia progetti di sensibilizzazione un minimo burgundy, tienitela Amazon.